La psicoterapia cognitivo comportamentale spiega alla persona il ruolo dell’ansia nell’innesco del panico, il ruolo dello stress, della personalità, dell’iperventilazione, degli evitamenti nella cronicizzazione del disturbo. La cura dagli attacchi di panico non può prescindere dall’analisi dei pensieri catastrofici che fanno interpretare i segnali dell’ansia come eventi terribili quali l’infarto, la pazzia o la perdita di controllo. L’esposizione graduale agli eventi temuti è uno degli strumenti chiave nella cura degli attacchi di panico secondo l’approccio della psicoterapia cognitivo comportamentale, attraverso l’esposizione la persona ha la possibilità di smentire l’ipotesi catastrofica temuta ed inizia pian piano ad riappropriarsi della propria vita.
L’approccio della psicoterapia cognitivo comportamentale ai problemi di panico è, confrontata ad altre psicoterapie, abbastanza breve (entro pochi mesi, se si seguono le indicazioni del terapeuta, si possono già avere risultati molto buoni), orientata agli obiettivi, attiva, efficace, misurabile. In ogni modo qualsiasi sia l’approccio di cura degli attacchi di panico è consigliabile diffidare da pseudo terapie e “santoni” che offrono soluzioni e rimedi non sempre a buon mercato e, soprattutto, inefficaci se non dannose. Di seguito verrà riportata una breve linea guida dell’approccio della psicoterapia cognitivo comportamentale alla cura degli attacchi di panico:
1) ricostruzione dell’evoluzione del disturbo ( in sede di assessment va indagato l’esordio del disturbo fino ad arrivare ad una minuziosa
descrizione dello stato del momento; elaborazione del contratto terapeutico il cui contenuto deve prevedere gli obiettivi condivisi, le
regole generali della terapia ed accordi di altra natura ( pagamento, durata della seduta, homwork etc.). 2) A partire dalla disamina degli episodi di “panico” più recenti va ricostruito lo schema del funzionamento del disturbo; attraverso questa procedura è possibile condividere con il paziente informazioni circa i fattori che innescano e mantengono gli attacchi di panico. Lo schema rappresenta una specie di “mappa” che può orientare il paziente a capire quello che gli sta succedendo nel corso di un attacco di panico, in questo modo lo schema ha anche la funzione di “normalizzare” un esperienza, l’attacco di panico, che oltre ha essere vissuta con terrore viene spesso interpretata come la prova di un imminente follia ( la valutazione di sé come non normale, vicino alla follia, spesso aggrava la sintomatologia e i vissuti depressivi del panicoso).
3) Individuazione delle credenze errate che innescano l’escalation del panico e messa in discussione delle stesse ( ad esempio, la convinzione che la tachicardia sia il segno di un imminente infarto o che la confusione mentale sia la prova della follia).
4) Acquisizione di competenze e tecniche finalizzate a migliorare la
gestione dell’ansia (respiro lento, rilassamento muscolare progressivo etc.)
5) Esposizione graduale agli stimoli ritenuti pericolosi ( tutti i pensieri, le situazioni e le occasioni in grado di innescare un attacco di panico e quindi tendenzialmente evitati dall’individuo); le
esposizioni possono riguardare luoghi e/o situazioni (ad esempio, fare la coda in un supermercato, prendere i mezzi pubblici o l’auto, recarsi in specifici posti etc.) o sensazioni somatiche (questa forma di esposizione consiste nel ricreare quelle stesse sensazioni (innocue) che spesso, venendo interpretate erroneamente, innescano l’
attacco di panico, lo scopo di queste esposizioni “interne” è quello di decatastrofizzare normali sensazioni somatiche prodotte dall’ansia: tachicardia, sudorazione, vertigini, vampate, confusione etc.).
6) prevenzione delle ricadute
La Riproduzione è Riservata- Dr Gaspare Costa
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